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martedì 16 ottobre 2007

Questioni di stile

di Stefano Cristante
docente di Sociologia dei fenomeni politici all’Università del Salento


Non è un bel momento per la democrazia nel mondo. Oltre a tutti i focolai di violenza e sopraffazione disseminati nelle periferie ma anche nei centri dell’instabile impero occidentale ce n’è uno, quello birmano, che induce sgomento e orrore. Uomini santi uccisi a bastonate da dittatori misteriosi e feroci.
Quando leggo e vedo in tv cosa succede nel paese di quella donna forte e bellissima e valuto quanto spazio stiamo dedicando, - come cittadinanza – all’elezione del rettore della nostra università mi prende un certo sconforto. Continua a leggere...

1 commento:

Gruppo Promotore ha detto...

CONTINUAZIONE DEL POST:


Sbaglio. In realtà è perfettamente normale che anche un semplice atto di partecipazione elettorale conti in una città in cui l’università coinvolge 30 mila giovani. Ed è normale – e forse auspicabile - che faccia quindi discutere docenti, funzionari, lavoratori, studenti e famiglie. Si tratta, come si è detto, di una scelta tra candidati rettori, resa obbligata per via delle dimissioni dell’allora rettore Limone ma non questo meno significativa, da parte di un ateneo colpito nella sua credibilità amministrativa da complesse indagini giudiziarie. Ma c’è qualcosa di più. In una piccola città come Lecce intorno alla campagna elettorale universitaria si stanno aggregando sensibilità politiche inaspettate. A titolo di esempio: c’è chi ha aperto un blog (www.elezionirettore.blogspot.com) la cui redazione, pur pensandola in maniera differenziata al proprio interno sul candidato prescelto, riesce quotidianamente a scambiarsi opinioni e materiale analitico senza compromettere la collaborazione e il rispetto reciproco. Ma soprattutto ci sono tre candidati – assai diversi tra loro: Strazzeri, Laforgia, Castellano - che, da circa un mese, comunicano con singoli docenti ed elettori (rappresentanti del personale tecnico-amministrativo e degli studenti) alla luce del sole, talvolta alzando la voce e facendo affermazioni azzardate e quasi ruvide ma più frequentemente argomentando, portando proposte, ascoltando. Hanno scritto programmi che sono stati analizzati al microscopio da molti commentatori, alcuni dei quali telematici, e tra questi ci sono stati parecchi anonimi e calunniatori ma anche altri, fortunatamente dichiarati e seri. I programmi dei tre candidati sono stati portati alla discussione pubblica nei Consigli di Dipartimento, nei Consigli di Facoltà, persino nei Consigli di Corso di Laurea, la piccola (in genere) unità didattico-decisionale che sta alla base dell’edificio universitario.
C’è chi ha fatto una scelta diversa. Mi riferisco, come è ovvio, alle candidature del prof. Bianco e del Preside di Lingue Fino. A me non interessa la dietrologia, né riesco ad appassionarmi alle discussioni sulla variabile aritmetico-statistica del “come voterà Mario Rossi?”, che immagino tutti i candidati abbiano sotto forma di lista nella borsa professorale (e che forse sarà usata come farmaco calmante durante lo spoglio delle schede del prossimo 22 ottobre, almeno per qualche mezzora).
Come sociologo, sono attento tanto alle forme della comunicazione quanto al loro contenuto.
Mi pare di capire: 1) che il programma degli ultimi due candidati è scarsamente o per nulla definito; 2) che la loro candidatura è frutto di una pressione “ambientale” di piccoli gruppi di elettori sparsi qua e là nelle sedi universitarie e nelle presidenze di alcune facoltà, pressione fondata più sulla critica sotterranea alle figure degli altri candidati che su un forte convincimento personale o sulla percezione di un autentico carisma da parte del candidato; 3) che la stessa presentazione delle loro candidature è avvenuta in una cornice di azioni messe in essere all’ultimo istante utile, momento che esclude la possibilità di una discussione pubblica e di un confronto leale sull’utilità di talune candidature.
Intendiamoci. Ogni docente ordinario (di prima fascia, quelli che ancora oggi si chiamano con linguaggio medievale “baroni”) avrebbe potuto legalmente presentare la propria candidatura a rettore entro il 12 ottobre. Però. Però viene da pensare a espressioni vetuste, tipo “ciurlare nel manico”, tipo “muoversi con disinvoltura nelle sabbie mobili”, tipo, insomma, “rimestare nel torbido”. C’è chi vuole a tutti i costi assimilare la campagna elettorale universitaria a una campagna elettorale a modello partitico. Non sui contenuti, ma – peggio – sulle forme. La presentazione all’ultimo istante e la triste circolazione di pettegolezzi e malignità sugli altri candidati mi spingono a trovare quantomeno sorprendente il tono da salvatori della patria messo in scena nelle ultime ore dai candidati Fino e Bianco. L’università non ha bisogno di salvatori della patria, ha bisogno di eleggere una figura che indichi un programma e che raccolga più consenso degli altri candidati. E che il giorno stesso, invece che festeggiare come chi ha vinto un’elezione a sindaco, si faccia vedere dai media con le maniche rimboccate per il lavoro che la aspetta. Ma che soprattutto spetterà a tutti i lavoratori della conoscenza. Cioè a noi docenti, ai collaboratori dell’apparato tecnico-amministrativo e anche agli studenti. Si è già perso troppo tempo. Siamo impazienti di ripartire con il piede giusto. Le decisioni prese nel segreto delle lobby e delle conventicole delle presidenze di facoltà non mi piacciono. Sono certo che si tratta di un sentire diffuso tra i miei colleghi, specie tra quelli giovani e non compromessi con i giochini barocchi del potere accademico. E che, il 22 ottobre, voteranno come gli altri.

Stefano Cristante