E' attiva la moderazione dei commenti. La pubblicazione avverrà nel più breve tempo possibile.
E' stato realizzato uno spazio dedicato ai commenti anonimi.

lunedì 8 ottobre 2007

Intervento di Marco Boiti

Riflessioni ad alta voce di un docente che ha molto amato l’Università di Lecce

di Marco Boiti
Docente di Metodi Matematici della Fisica


L’Università di Cambridge è situata nella East Anglia, che comprende le Contee di Cambridgeside, Norfolk and Suffolk. È ben nota la secolare rivalità fra le Università di Cambridge e di Oxford. Ora, immaginate che Cambridge, a fronte di aggressive iniziative di inserimento decentrato di Oxford nelle Contee di Norfolk and Suffolk, decidesse di cambiare nome in Università di East Anglia. Tutto il mondo riderebbe e Oxford sogghignerebbe. È ciò che è successo col cambio di nome da Università degli Studi di Lecce in Università del Salento. Bari sogghigna e noi subiamo l’umiliazione di vedere oscurata la storia della nostra Università, che, pure al di là di molte contraddizioni e debolezze, dalla nascita come Università degli Studi di Lecce nel 1967 all’altro ieri, sentiamo come straordinaria ed esemplare. Per di più, i laureati in questi 40 anni presso l’Università di Lecce rimangono “orfani” della “loro” Università. Non è tutto. Continua a leggere...

4 commenti:

Gruppo Promotore ha detto...

CONTINUAZIONE DEL POST:

Il cambio di denominazione è stato utilizzato per giustificare la deroga al divieto di terzo mandato per il Rettore. Ciò appare con tutta evidenza dalla formulazione stessa della relativa modifica di Statuto approvata dal Senato Accademico, che riporto integralmente di seguito:

La prima elezione alla carica di Rettore successiva alla modifica della denominazione dell’Università di Lecce in Università del Salento si svolgerà in deroga al divieto di seconda rielezione previsto dall’art. 30, comma 8, terzo capoverso.

Ad una sola persona per l’oggi e a nessun altro per il futuro viene concesso questo privilegio. Il Senato Accademico, a larghissima maggioranza, con atto ineffabile di sottomissione al Rettore, indica agli elettori che egli debba rimanere in carica per un altro quadriennio!

V’è, tuttavia, di peggio.

La vergogna di subire questa modifica di Statuto ci è stata risparmiata solo dall’intervento esterno, del tutto imprevisto ed inaspettato, della magistratura!

Un altro esempio significativo di come il Rettore abbia esercitato un potere quasi assoluto è costituito dalla vicenda del Regolamento Didattico di Ateneo.

Nel maggio 2002 la Commissione per i Regolamenti e Modifiche di Statuto licenziava un completo aggiornamento dell’allora vigente Regolamento Didattico, che veniva successivamente sottoposto al vaglio delle Facoltà, del Consiglio degli Studenti, della Commissione Didattica di Ateneo e del Collegio dei Presidenti dei Consigli di Corso di Laurea e successivamente approvato dal Senato Accademico ed infine sottoposto, con esito positivo, all’approvazione del Ministero.

Il Rettore, a riprova e dimostrazione che gli organi istituzionali dell’Università nulla contano, non ha mai emanato il Regolamento!

Le norme in esso contenute avrebbero limitato la proliferazione dei corsi, ricondotto nell’ambito della legge i corsi interfacoltà, fornito strumenti per la verifica dell’osservanza dei doveri dei docenti, meglio tutelato i diritti degli studenti, istituito la figura dello studente a tempo parziale, figura che, utilizzata opportunamente, come ha fatto l’Università di Napoli, avrebbe evitato a Lecce la perdita di 9 milioni di Euro di finanziamento da parte del Ministero.

Che insegnamenti e che indicazioni trarre per il futuro da questi dolorosi avvenimenti?

A partire dal Rettorato di Angelo Rizzo, attraverso una successione progressiva di introduzione e moltiplicazione di nuove figure, si è costituito e rafforzato un organismo, costituito dal Rettore, dai Prorettori, dai delegati di primo e secondo livello, dal Capo Gabinetto, che, operando extra legem, vero governo ombra, gestisce l’Università, mentre il Senato Accademico, come del resto è ormai largamente ammesso, non svolge più la sua naturale funzione di indirizzo per la politica dell’ateneo né è più il suo reale centro decisionale.

Questo nodo va sciolto.

È risibile pensare che la soluzione possa consistere nel passaggio dalla possibilità di un terzo mandato ad un mandato unico.

Mi sembra necessario ricercare una soluzione organica, ripensando nel suo complesso la struttura istituzionale dell’Università in modo da realizzare una maggiore e più allargata distribuzione delle responsabilità di gestione.

Questo problema è stato affrontato e risolto in diversi modi dalle diverse Università nei diversi paesi europei, in corrispondenza alle loro dimensioni, particolari esigenze e tradizioni culturali. Le soluzioni vanno dalla creazione di vere e proprie Università federate, come ad esempio l’Università di Roma La Sapienza e di Montpellier in Francia, alla creazione all’interno dell’Università di aggregazioni di strutture per la didattica, per la ricerca e di servizio volte a conseguire un effettivo decentramento strutturale, funzionale ed amministrativo e a favorire una maggiore flessibilità nello svolgimento delle attività didattiche, di ricerca e di servizio, come i Poli dell’Università di Napoli.

Penso che, sulla scia del dibattito elettorale, si debba aprire un cantiere per l’individuazione della soluzione che meglio si conformi alle dimensioni della nostra Università ed alla sua tradizione culturale.

Credo sia possibile rendere effettive le funzioni di indirizzo e programmatorie del Senato e del Consiglio di Amministrazione, eliminando duplicazioni di compiti e funzioni fra Senato e Consiglio di Amministrazione e liberando i due organismi dal peso dell’esame di numerosissime questioni di interesse più specifico a singoli settori scientifico culturali, che possono essere più utilmente demandate ad organi intermedi di governo, ricomponendo così le spinte centrifughe e particolaristiche.

In tal modo sarebbe possibile al contempo rendere meno pletorico il Senato Accademico ed il Consiglio di Amministrazione e coinvolgere un maggior numero di persone nell’azione di governo.

Comunque dobbiamo essere consapevoli che ogni operazione di ingegneria istituzionale, per quanto accorta, sarà inutile ed inefficace se l’Università di Lecce non si dota di strumenti di valutazione dell’attività di ricerca e didattica, rigorosi, garantiti e trasparenti, che permettano al contempo di distribuire le risorse sulla base del merito ed individuare ed intervenire sui settori che risultassero inattivi o subcritici.

L’Università dovrà comunque affrontare stringenti valutazioni della propria attività di ricerca e formazione da parte dell’Agenzia creata a questo fine dal Ministero ed è sulla base dei risultati di queste valutazioni che saranno distribuite le risorse.

Altre Università, in particolare l’Università di Bologna, si sono da lungo tempo attrezzate per affrontare questa stretta creando degli organismi interni di valutazione della produttività scientifica e del suo impatto sulla comunità scientifica nazionale ed internazionale, basandosi sull’individuazione di parametri oggettivi, verificabili ed internazionalmente riconosciuti come validi.

Dobbiamo seguire questo esempio.

Ciò, oltre ad essere necessario, per affrontare in sede di distribuzione delle risorse la competizione con le altre Università, è pure necessario per incentivare i settori che siano verificati essere di eccellenza e per stimolare gli altri settori nell’ambito di una sana competizione interna.

Ciò oltretutto scoraggia, perché divenuta inutile e dannosa, la tentazione dei settori scientificamente più qualificati ed attivi di allearsi con settori scientificamente meno qualificati scientificamente, ma politicamente più attivi, come avvenuto nell’ISUFI.

Così pure, una battaglia condotta per l’eliminazione del precariato, che non avvenga nel quadro di una rigorosa valutazione di merito secondo le procedure sopra menzionate, si trasformerebbe inevitabilmente in un’operazione di cooptazione di parenti, amici e clienti, sia a livello di personale docente che tecnico ed amministrativo. Credo che nessuna persona onesta, guardando a quanto è successo nel passato, in particolare per quanto riguarda le promozioni interne dei docenti e le assunzioni del personale tecnico ed amministrativo, possa sottovalutare questo pericolo.

Infine, mi sembra che, nell’attuale situazione di gravi ristrettezze finanziarie, vivendo in una regione in cui troppa gente fatica a vivere, debbano essere riconsiderati i privilegi riguardanti i dipendenti dell’Università, che pure non esistevano nel passato, quali indennità di funzione e gettoni di presenza.

Si tratta di un problema complesso, che merita un’analisi e discussione approfondita, che parta dall’acquisizione di un’informazione esaustiva della situazione esistente.

Mi sembra, tuttavia, di poter affermare, in linea generale, che indennità di funzione e gettoni di presenza possano essere pagati solo quando siano espressamente previsti dalla legislazione vigente.

Per quanto riguarda la componente docente penso di poter essere più preciso. Quando a colleghi francesi ho raccontato che Rettore, Presidi e Direttori di Dipartimento percepiscono un’ indennità di funzione, mi hanno risposto, esprimendo grande meraviglia, che in Francia è espressamente vietato. Non so dire cosa accada negli altri paesi europei. Dallo studio da me fatto a suo tempo dello Statuto di un’Università inglese mi pare di capire che lo stesso valga in Inghilterra. Comunque, la 382, legge ancora vigente, prevede per i docenti l’obbligo della partecipazione agli organi di governo. Non si capisce come un obbligo possa essere retribuito.

Da ultimo, e non è questione da meno, mi sembra si debba esprimere forte preoccupazione per gli aspri contrasti e forti rivalità esistenti fra i sindacati, contrasti e rivalità che danneggiano l’Università. Credo che la loro origine profonda risieda nel fatto che, col passare del tempo in maniera sempre più accentuata, i sindacati, od almeno settori rilevanti dei sindacati, abbiano svolto un ruolo di cogestione, che non spetta al sindacato, ne snatura la funzione e ne mina l’autonomia, spingendo il personale a cercare appoggio e sostegno ciascuno nel proprio sindacato di appartenenza. Durante questa campagna elettorale sono emerse presso il personale amministrativo e tecnico forti critiche verso la propensione alla cogestione, che penso debbano essere apprezzate e sostenute.

Firmato: Marco Boiti

Anonimo ha detto...

Credo che l'analisi del prof. Boiti sia ineccepibile e fotografi alla perfezione la situazione della nostra università. Ogni punto affrontato è fonte di profonda riflessione. Si attiene ai fatti con scientifica documentazione e terrò conto di tutte le sue considerazioni nel momento del voto per il futuro rettore. Grazie per il Suo prezioso contributo prof. Boiti.

Un ricercatore

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo con la Sua analisi vera, dura ed efficace praticamente su tutto.
Il disastro generato dal cambiamento di nome al solo fine di consentire il terzo mandato è sotto gli occhi di tutti. E' importante, però, non dimenticare.
Ricordiamo chi in senato ha proposto il terzo mandato per il rettore Limone e ricordiamo quale senatore ha votato contro.
Aiuta a fare chiarezza anche su tutte le informazioni che vengono, in questo periodo, confezionate ad hoc e messe in circolazione.

Anonimo ha detto...

Condivido pienamente l'alone di tristezza che tiene insieme le riflessioni del prof. Marco Boiti, tra i primi ricercatori e docenti giunti nell'Università di Lecce nel lontano 1967 dopo la statizzazione e la contestuale nascita della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali. C'era già l'università da 10 anni creatura del Consorzio interprovinciale del Salento con i suoi laureati col titolo legale già riconosciuto dagli organi dello Stato. Era già l'Università del Salento, ma a prescindere dalla denominazione, di fatto dal 1956 sono passati oltre 5 decenni e nessuna autorità accademica ha voluto degnamente celebrare i 50 anni dalla nascita; è sfumata l'occasione che senza dubbio avrebbe fatto germogliare riflessioni a più voci sull'esistente e sui possibili sviluppi programmatici. Sarebbe stato un momento corale di partecipazione di quei soggetti che realmente hanno a cuore le sorti d
i questa nostra istituzione scientifica e culturale. Nessuna proposta, nessuna partecipazione, nessuna Conferenza d'Ateneo (come accadeva nel lontano passato); gli "eletti" sono rimasti cocciutamente rinserrati all'interno degli organismi decisionali per votare pacchetti già preconfezionati e incartati; niente dibattito con le minoranze dei dissenzienti subito bloccate. Ha ragione, prof. Boiti, quasi un potere assoluto e una cogestione spudorata in cui sempre l'annullamento delle funzioni e dei ruoli aveva campo libero. Le parti erano controparti delle particolarità; l'interesse generale, la cultura del diritto ... quando mai?; le coltivazioni certosine degli orticelli, l'uno diverso dall'altro hanno preso il sopravvento. Norme e regolamenti didattici, regolamenti in altri vitali settori per la creazione dei servizi, ma perché, a chi servono? I recenti "dolorosi avvenimenti" dovranno sollecitare gli elettori a liberarsi dai legami di acquiescenza al potere. Uno spirito libero Vi p
orterà, senza dubbio, a votare per voltare decisamente pagina!