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giovedì 20 settembre 2007

Contributo di Fabio De Nardis

Pubblichiamo il contributo del Prof Fabio De Nardis (Docente di Sociologia all’Università del Salento - Coordinatore del Dipartimento Nazionale Università e Ricerca Prc-Se) in merito ai problemi dell'università italiana.


La conoscenza in democrazia non può essere a numero chiuso

Il recente scandalo sui test di accesso a Medicina che ha coinvolto più Atenei ci mostra la situazione di profondo degrado morale in cui sono da tempo precipitate molte Università italiane. Appare quantomeno avvilente che ragazzi di diciotto e diciannove anni pensino di potersi affacciare al mondo delle professioni e dell’alta formazione partendo da una posizione di privilegio acquisita attraverso il mezzo più antico e squallido del mondo: il denaro. Continua a leggere...



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1 commento:

Gruppo Promotore ha detto...

CONTINUAZIONE DEL POST:

Il merito a cui tutti dicono di voler aspirare viene schiacciato da pratiche subculturali che, come abbiamo visto, sovente degenerano in azioni malavitose fino a poter ipotizzare o addirittura provare il reato gravissimo di associazione a delinquere, come nel caso di Bari, malgrado gli sforzi del nuovo Rettore che ha fatto il possibile negli ultimi tempi per porre un argine al fenomeno.
È evidente che non si possa più parlare di casi isolati. Siamo di fronte a una vera e propria questione morale che non può essere affrontata come è avvenuto nei primi anni Novanta solo dall’azione pur meritoria della Magistratura, quasi a riempire un vuoto determinato dall’assenza di una classe politica forte, capace di rilanciare una iniziativa culturale e riformatrice. Chiediamo quindi al Governo di intervenire per azzerare definitivamente alla radice le condizioni che rendono possibile il perpetuarsi di simili atti e al contempo chiediamo alla parte sana dell’Università italiana che pure esiste e non è minoritaria di prendere in mano la situazione usando al meglio gli strumenti dell’autogoverrno per affermare con vigore una nuova etica collettiva che rompa la pratica dilagante del silenzio e dell’omertà.
È arrivato il momento di prendere posizione sul numero chiuso e affermare con forza che un’Università pubblica e democratica non può e non deve limitare il diritto allo studio attraverso una selezione che invece di realizzarsi durante il percorso di studio, si verifica all’ingresso, innescando meccanismi distorti e suscettibili, come abbiamo visto, di diverse forme di degenerazione. Sono oltre mille al momento i corsi di laurea a numero programmato, ridotti quest’anno di circa un 15% anche grazie all’intervento del Governo che ha fatto appello a un rispetto più rigido dei requisiti minimi per l’attivazione di nuovi corsi, eppure le normative europee ci vincolano solo su cinque profili professionali e didattici (medicina, odontoiatria, veterinaria, architettura e ingegneria). Tutti gli altri corsi dovrebbero essere aperti oppure soppressi definitivamente, dal momento che sovente sono del tutto inutili e figli anch’essi della recente tendenza alla prolificazione dell’offerta formativa senza effettive esigenze funzionali. Ben venga a questo riguardo il Decreto di prossima emissione sui requisiti minimi, applicativo del Decreto sulle classi di laurea e le connesse linee guida, con cui si riporterà nella potestà del Ministro l’autorizzazione al numero programmato fuori dai confini delle qualifiche per le quali le leggi comunitari sono vincolanti. Ma anche sui cinque corsi di laurea a cui il numero chiuso è applicato per obblighi comunitari è possibile intervenire, raddoppiando per esempio il numero degli accessi. È quantomeno bizzarro che nell’ultimo anno le immatricolazioni nei corsi di laurea in medicina sono state 7000 e appena 800 a odontoiatria. Cifre anomale che lasciano intendere l’esigenza di proteggere i meccanismi di riproduzione di specifiche corporazioni piuttosto che di programmare la mole degli accessi in base a una meditata valutazione dei bisogni. Anche sulle modalità di selezione ci sarebbe molto da dire. È chiaro da tempo che i test d’ingresso siano del tutto insufficienti a stabilire una effettiva graduatoria di merito. Avvertiamo quindi tutti i limiti di questo strumento ma anche i limiti delle possibili soluzioni ipotizzate dal Governo. Ci riferiamo ad esempio al Decreto delegato Mussi-Fioroni, al momento all’attenzione delle Camere, che prevede per i test un meccanismo fondato su un totale di 105 punti, il 25% dei quali dipenderebbero dai risultati medi dello studente negli ultimi tre anni di scuole superiori più il voto di maturità. L’esperienza infatti dimostra che il rendimento durante gli anni delle scuole superiori non ha alcuna influenza o connessione con i risultati ottenuti dagli studenti durante gli anni universitari. Se questo fosse stato sempre il metro di valutazione per definire l’accesso all’Università, probabilmente molti futuri premi Nobel sarebbero stati scartati al momento dell’immatricolazione. Per questo come Rifondazione Comunista, certi di poter contare sul sostegno della sinistra unitaria, chiediamo di sopprimere definitivamente il numero chiuso e la logica di competizione ad esso sottesa, cominciando con l’abolizione immediata della legge n. 264/99 che, consentendo di fatto la diffusione indiscriminata del numero programmato, ha limitato fortemente il libero accesso ai saperi ledendo un principio per noi basilare, quello dell’uguaglianza. Tale legge, come nota anche l’Unione degli Universitari, a cui va il nostro sostegno e la nostra solidarietà, esplicita sostanzialmente la scarsa volontà di investire sul sistema dell’alta formazione. È arrivato il momento di eliminare tutte le barriere formali e sostanziali all’accesso alla conoscenza. Solo così saremo in grado di progettare e definire i parametri di un’alternativa di società.

Fabio de Nardis
Docente di Sociologia all’Università del Salento
Coordinatore del Dipartimento Nazionale Università e Ricerca Prc-Se